Il colore è parte integrante della vita umana. Usiamo i colori per cambiare l’atmosfera delle nostre case, luci colorate per controllare il traffico e abiti di colori diversi per mostrare le nostre professioni o gusti.
Sebbene non tutti possano vedere la vita in “technicolor”, come ad esempio i daltonici, i colori influenzano le decisioni e le emozioni della gran parte delle persone, ogni giorno. Quindi come funziona la visione dei colori? E ci sono versioni della visione dei colori che differiscono notevolmente dall’esperienza umana media?
La visione del colore è la capacità di un organismo o di una macchina di distinguere oggetti basandosi sul colore. La percezione dei colori di una persona è però un processo soggettivo nel quale il cervello risponde alle stimolazioni prodotte quando la luce incidente reagisce con i diversi tipi di cono presenti nell’occhio. In breve, persone diverse vedono lo stesso oggetto illuminato o la stessa sorgente di luce in modi diversi.
L’arcobaleno di Newton
Nell’antica Grecia, fu Aristotele a sviluppare la prima teoria del colore credendo che il colore fosse inviato da Dio dal cielo attraverso raggi di luce celesti. Nei suoi studi suggerì che tutti i colori provenissero dalla mescolanza di luce e oscurità, cioè dal bianco e dal nero in relazione con i quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. Le credenze di Aristotele sul colore sono state ampiamente sostenute per oltre 2000 anni fino a quando non sono state sostituite da quelle di Newton.
Nel 1660, il fisico e matematico inglese Isaac Newton iniziò una serie di esperimenti con la luce solare in cui riuscì a “piagare” la luce attraverso un prisma di vetro. Questi studi portarono, infine, alla rivoluzionaria scoperta dell’esistenza di una miscela di raggi colorati distinti nella luce bianca, distinguibili ad occhio nudo quando rifratti da un prisma. Newton iniziò proiettando la luce del sole su una parete prima di fissare la posizione del prisma e proiettare la luce su un foglio di carta bianco. Ciò produsse un’immagine allungata del sole, che era principalmente bianca, ma presentava un bordo superiore blu e un bordo inferiore rosso. Nel suo secondo esperimento proiettò la luce attraverso una stretta fessura nelle persiane, ottenendo così l’ormai familiare fascia multicolore.
Stabilendo scientificamente lo spettro visibile (i colori che vediamo in un arcobaleno), Newton ha aperto la strada ad altri esperimenti e scoperte nei campi dell’ottica, fisica, chimica, percezione e studio del colore. Nella sua grande opera “Opticks”, pubblicato per la prima volta nel 1704, Newton documentò le scoperte fatte nei suoi esperimenti identificando i colori ROYGBIV (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e viola) che compongono lo spettro visibile. Tra le altre cose, spiegò come le gocce di pioggia rifrangono la luce solare per formare arcobaleni. Questa fu la prima spiegazione cromatica di un fenomeno che aveva affascinato gli scrittori scientifici, tra cui Aristotele, Alhazen, Vitello e Antonio de Dominis.
Il pittore e incisore Le Blon successivamente iniziò a delineare un metodo di stampa a tre colori utilizzando colori primari (rosso, giallo, blu) per creare colori secondari (verde, viola, arancione). Nel suo manuale “Coloritto” del 1725, fa un’importante distinzione tra i “colori materiali”, usati dai pittori, e la luce colorata, che era al centro delle teorie del colore di Newton. La distinzione di Le Blon segna la prima documentazione di quelli che oggi vengono chiamati sistemi di colore additivo e sottrattivo.
- Arcobaleni, TV, schermi di computer e dispositivi mobili emettono tutti luce e sono esempi di un sistema di colori additivo. Rosso, verde e blu sono i colori additivi primari e quando combinati producono una luce bianca trasparente.
- Libri, dipinti, erba e automobili sono esempi di un sistema di colori sottrattivo che si basa sulla composizione chimica di un oggetto e sulla sua riflessione della luce come colore. I colori primari sottrattivi – blu, rosso e giallo (o magenta, ciano e giallo) – ci vengono spesso insegnati a scuola da bambini e quando mescolati insieme creano il nero (in realtà un marrone tendente al nero).
Lo scrittore Goethe “sfidò” le opinioni di Newton sul colore, sostenendo che il colore non era semplicemente una misurazione scientifica, ma un’esperienza soggettiva percepita in modo diverso da ogni spettatore. Il suo contributo è stato il primo studio sistematico sugli effetti fisiologici del colore. Le opinioni di Goethe furono ampiamente adottate dagli artisti e sebbene Goethe sia meglio conosciuto per la sua poesia e prosa, considerava la “Teoria dei colori” la sua opera più importante.
Visione dei colori negli esseri umani
Quando vediamo un oggetto distintamente colorato, il colore che vediamo non è altro che una specifica lunghezza d’onda della luce che l’ggetto riflette, emette, o trasmette. Ad esempio, l’erba appare verde perché assorbe tutta la luce che non è compresa tra 577 e 492 e il cielo appare blu perché assorbe tutta la luce che non è compresa tra 492 e 455.
L’occhio elabora i colori nella retina, una membrana che si trova nella parte posteriore del bulbo oculare. La retina contiene da sei a sette milioni di minuscole cellule chiamate fotorecettori che traducono la luce che arriva nei tuoi occhi in informazioni di colore che vengono poi inviate al tuo cervello tramite il nervo ottico.
Nella retina, la maggior parte dei fotorecettori rientra in una classe di cellule chiamate coni. I coni possono essere di tre diverse lunghezze, corto, medio e lungo. Questi coni sono indicati rispettivamente come s-cones, m-cones e l-cones. Ogni lunghezza del cono rileva diverse lunghezze d’onda della luce. s-cones reagiscono alle lunghezze d’onda blu, m-cones rispondono alle lunghezze d’onda verdi e l-cones elaborano le lunghezze d’onda rosse.
L’essere umano medio ha più l-cones rispetto a s-cones o m-cones. Ciò comporta che il 60% dei coni della retina è dedicato alle lunghezze d’onda della luce rossa, mentre solo il 2% reagisce alle lunghezze d’onda della luce blu. Questa configurazione consente agli umani di vedere l’intero arcobaleno di colori, ma non possiamo vedere lunghezze d’onda inferiori a 390 o superiori a 622. La luce ultravioletta e i raggi X sono entrambi più corti di 390, mentre le onde radio e gli infrarossi sono più lunghi di 622. Non possiamo vedere queste lunghezze d’onda della luce senza l’aiuto di attrezzature speciali. Gli scienziati ipotizzano che alcuni animali invece possano farlo.
Visione dei colori nel regno animale
Molti animali vedono meno colori di noi, ma gli scienziati ritengono che alcuni animali riescano a vedere lunghezze d’onda precluse agli esseri umani, a causa della presenza di una molteplice varietà di coni di colore nelle loro retine.
Gli animali domestici e altri animali vivono il mondo con una “tavolozza di colori” drasticamente diversa da quella umana. La visione dei colori della maggior parte degli animali non percepisce il rosso oppure ha la capacità di vedere lo spettro ultravioletto.
Senza coni che reagiscono alla luce rossa, alcuni animali vedono un mondo simile alle persone affette da daltonismo rosso-verde. Questa tavolozza include una gamma di grigi, blu e gialli e ha un aspetto simile al seppia chiaro. Tra questi animali rientrano tutti i bovini, compresi i tori da combattimento, i cani e i gatti, i roditori, come conigli, ratti, topi e criceti.
Molti hanno la convinzione sbagliata che l’animale veda il colore così come lo vediamo noi. Ad esempio, i tori da combattimento caricano il mantello rosso di un matador perché il tessuto si muove, non perché è rosso. Allo stesso modo, un gatto potrebbe inseguire il punto rosso del puntatore laser perché assomiglia al movimento della preda, non perché ha un colore accattivante.
Vi è anche una nutrita categoria di animali che hanno quattro tipi di coni rispetto agli esseri umani. Il tipo di cono aggiuntivo è più corto del nostro s-cone: gli studiosi ritengono che questo cono aggiuntivo consenta agli animali di vedere la luce ultravioletta. Gli animali con quattro coni sono principalmente insetti, come api e farfalle. Gli scienziati ritengono che questi insetti si siano evoluti per vedere meglio le fonti di polline. È possibile che vi siano animali con molte più variazioni di coni nel regno animale. Ad esempio, è stato scoperto che gli occhi della canocchia hanno 16 diversi tipi di coni. Questi crostacei possono vedere colori e dettagli cromatici che gli umani non possono nemmeno comprendere.
È importante ricordare che la visione dei colori non influisce necessariamente sull’acuità visiva. Ad esempio, un gatto potrebbe non essere in grado di vedere un oggetto di colore rosso, ma un felino potrebbe essere in grado di individuare il movimento a una distanza maggiore della tua. E un’ape potrebbe vedere motivi ultravioletti sui fiori, ma ciò non significa che l’insetto abbia una vista eccezionale nel complesso.
Le Teorie percettive
Non è facile dare una spiegazione alla visione dei colori né dal punto di vista artistico né, tanto meno, da quello scientifico. Oltretutto le incongruenze che la teoria dei colori di Goethe aveva trovato nell’ottica di Newton, rimasero senza una reale spiegazione scientifica fino agli inizi dell’800. Le due teorie, entrambe accettate e riconosciute come valide, sono la Teoria tricromatica di Young e Helmholtz e la Teoria del processo opponente di Hering.
Teoria tricromatica
La teoria tricromatica, o teoria Young–Helmholtz, proposta nel XIX secolo da Thomas Young e Hermann von Helmholtz, afferma che l’occhio, come già illustrato precedentemente, è formato da tre tipi di recettori nella retina, sensibili al blu, verde e rosso, responsabili della percezione del colore. Le combinazioni di questi tre colori producono tutti i colori che siamo in grado di percepire. I ricercatori affermano che le persone sono in grado di distinguere fino a sette milioni di colori diversi. Fu più tardi, a metà del 1800, che Hermann von Helmholtz estese la teoria originale di Young e affermò che i recettori del cono dell’occhio fossero a lunghezza d’onda corta (blu), a lunghezza d’onda media (verde) o a lunghezza d’onda lunga (rosso). Helmholtz affermò inoltre che fosse la forza dei segnali rilevati dalle cellule recettoriali a determinare il modo in cui il cervello interpretava il colore nell’ambiente.
Teoria del processo opponente
La teoria, formulata da Ewald Hering, afferma che la nostra capacità di percepire il colore è controllata da tre complessi recettoriali che lavorano in maniera antagonista: rosso-verde, blu-giallo e nero-bianco. La ricerca attuale suggerisce che i veri accoppiamenti per questi complessi recettoriali sono in realtà blu-giallo, rosso-ciano e verde-magenta.
In pratica la nostra mente può registrare solo la presenza di un colore di una coppia alla volta perché i due colori sono l’uno antagonista dell’altro. Lo stesso tipo di cella che si attiva quando vediamo il rosso si disattiva con la luce verde e le cellule che si attivano con la luce verde si disattivano quando vediamo il rosso, ecco perché non possiamo vedere il rosso verdastro.
Facciamo un piccolo esperimento:
- Prendiamo un quadratino di carta bianca e posizioniamolo al centro di un quadrato rosso più grande.
- Guardiamo il centro del quadrato bianco per circa 30 secondi, quindi guardiamo immediatamente un semplice foglio di carta bianca e battiamo le palpebre per vedere l’immagine residua.
- Di che colore è l’immagine residua? Possiamo ripetere questo esperimento usando il verde, il giallo e il blu.
Fissare l’immagine rossa per 30-60 secondi ha causato un affaticamento delle cellule bianche e rosse (nel senso che hanno iniziato a inviare segnali più deboli per risparmiare energia).