Chi si ricorda il Web agli albori? Gli anni ’90 sono stati caratterizzati dal cosiddetto Web 1.0: internet era poco diffuso, non esisteva ADSL, e i modem erano ad appannaggio di tecnici e professionisti del settore. La maggior parte degli utenti erano gli stessi sviluppatori che implementavano siti web i quali erano costituiti principalmente da testo e qualche sporadica immagine (che a differenza di oggi, dovevano essere fortemente ottimizzate a causa della lentezza della connessione). I siti quindi erano totalmente “statici”, non vi erano interazioni con l’utente consumatore e quindi erano considerati di sola lettura, il che significava che era consentito solo cercare informazioni e leggerle.
Nel 2004, dopo lo “scoppio” della bolla delle dot-com, l’editore Tim O’Reilly presenta il Web 2.0: l’evoluzione della prima versione del Web adesso consentiva agli utenti maggiore interazioni: non più spettatori passivi, ma con la possibilità di creare i propri contenuti e caricarli su un sito web. E’ proprio in questi anni che si caratterizza l’ascesa di piattaforme CMS, quali WordPress, Joomla e piattaforme di social media come Facebook, Linkedin e Youtube. Queste ultime enfatizzavano i contenuti prodotti dagli utenti grazie a semplici strumenti di pubblicazione e soprattutto alla partecipazione attiva degli utenti consumatori (interazione, condivisione e partecipazione sono i pilastri su cui si fonda il Web 2.0). L’obiettivo principale del Web 2.0 era rendere Internet più democratico e il più accessibile possibile agli utenti. E questo fu possibile grazie alla diffusione dei dispositivi personali quali smartphone e tablet. E’ in questa fase che si assiste alla cosiddetta convergenza digitale: se prima i vari linguaggi comunicativi avevano ciascuna le proprie peculiarità e prodotte con l’utilizzo di varie tecnologie (es: stampa cartacea, onde radio analogiche per il broadcasting, pellicole di cellulosa per i film), stiamo adesso assistendo ad una “convergenza” verso un singolo “alfabeto” formato da due soli valori, 0 e 1, il digitale per l’appunto.
Ma la tecnologia, come sappiamo, è sempre in evoluzione e cosi pure Internet.
Da qualche anno, si parla sempre più spesso di Web 3.0. Ma di preciso che cos’è? Una nuova versione solitamente serve a correggere gli errori della versione precedente, quindi cosa c’è di sbagliato in Internet? Quali vantaggi offrirà il Web 3.0 che non esistono già?
Il Web 3.0 non è un concetto del tutto nuovo. Quello che oggi consideriamo Web 3.0 è stato originariamente coniato come Web semantico da Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web. Lo immaginava come un Internet più intelligente, più autonomo e aperto.
La parola d’ordine è decentramento. Il Web 2.0 è attualmente governato da un insieme di piattaforme dominanti (le società FAANG: Facebook ora Meta, Amazon, Apple, Netflix e Google), che da sole rappresentano la quasi totalità del potere di mercato. Tra le pretese del Web 3.0 ci sarà quello di limitare il loro potere attraverso una nuova generazione di Internet “decentrato” e più egualitario che consenta la creazione di una rete globale con infinite interazioni intelligenti tra tutti i suoi utenti e dispositivi, in cui gli utenti verranno ripagati per i loro contributi attraverso una varietà di token, il tutto mantenendo i propri dati privati e sicuri su un ambiente condiviso, distribuito e a prova di manomissione.
Il Web 3.0, come previsto dalla Web3 Foundation, sarà un Internet in cui dati e contenuti sono registrati su blockchain, tokenizzati o gestiti e accessibili su reti distribuite peer-to-peer, priva di intermediari e costruita con la stessa verificabilità crittografica che ha dato origine a criptovalute, token non fungibili (NFT) e qualsiasi applicazione sostenute da un registro distribuito, chiamate anche Dapp (Decentralized Applications).
Tutto ciò può sembrare un po’ complicato, perchè in effetti ancora lo è. Per ora, Il Web 3.0 è un concetto alquanto confuso che è ancora in fase di definizione.
Web 3.0 è stato descritto per la prima volta da uno dei creatori della blockchain di Ethereum, Gavin Wood. In un post sul blog del 2014 , Wood ha immaginato il Web 3.0 come uno spazio online crittografato da costruire in risposta alle preoccupazioni sulla privacy sollevate dalle rivelazioni di Edward Snowden nel 2013.
Con il Web 3.0, ha scritto, “le informazioni che assumiamo pubbliche le pubblichiamo. Le informazioni che presumiamo siano concordate, le inseriamo in un registro del consenso. Le informazioni che presumiamo siano private, le manteniamo segrete e non le riveliamo mai”. Questo modello sarebbe fattibile attraverso l’uso di della crittografia, in cui le transazioni vengono verificate e aggiunte ad una blockchain universale per garantire trasparenza e irrevocabilità.
Alcuni sviluppatori hanno già tentato di definire lo stack Web 3.0, ma non è cosi semplice. Alcune delle caratteristiche abilitate da Web 3.0 sono:
- Infrastruttura web decentralizzata
- Proprietà (di dati, contenuti e piattaforma)
- Pagamenti digitali nativi
- Identità sovrana
- Infrastruttura distribuita, affidabile e affidabile
- Back end aperti, pubblici e componibili
Questo è chiaramente un significativo allontanamento dall’odierna architettura comunemente utilizzata per lo sviluppo web, che consiste in:
- Un server web front-end
- Un server delle applicazioni di livello intermedio
- Un database back-end o un archivio dati
Web 3.0 sarà, in qualche modo, un ritorno al concetto originale del web, un luogo in cui non è necessario il permesso di un’autorità centrale per pubblicare, non c’è un controllo centrale e non c’è unico punto di insuccesso. Questo significa che tutto verrà sostituito da web 3.0? Non necessariamente. Sviluppare una tecnologia basata su uno stack decentralizzato come quello del Web 3.0 non è sempre utile o obbligatorio: dipende sempre da cosa si vuole costruire.